Il contributo analizza una decisione della Corte di cassazione in materia di assistenza linguistica. Il ricorrente lamentava la mancata traduzione della sentenza di condanna nella sua lingua madre (l’albanese), a fronte di una conoscenza limitata dell’italiano. Tali doglianze venivano respinte, in quanto lo stesso non sarebbe rimasto “inerte” nel corso del procedimento, avendo reso spontanee dichiarazioni in italiano. La Corte specificava poi che l’omessa traduzione non comporterebbe necessariamente la nullità della sentenza, a meno che non emerga un effettivo pregiudizio per i diritti difensivi. L’Autore critica tale approccio, sostenendo che esso relativizzerebbe il diritto all’assistenza linguistica – in contrasto con il diritto dell’Unione europea e la pertinente giurisprudenza CEDU – compromettendo così il pieno esercizio dei diritti della difesa e la comprensione degli addebiti da parte dell’imputato.
Postdoctoral Researcher in Criminal Law - University of Luxembourg. PhD in Global Studies presso l'Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo». È Cultore della materia di Diritto processuale penale presso la medesima università, dove si è laureato nel dicembre 2017. Ha svolto per 18 mesi un tirocinio ex art. 73 D.L. 69/2013 negli uffici della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro, ove è stato seguito, nello svolgimento delle attività formative, dal Sostituto Procuratore dott.ssa Silvia Cecchi.
Interessi di ricerca: detenzione amministrativa degli stranieri nel diritto UE e CEDU e protezione dei diritti fondamentali - mutuo riconoscimento delle decisioni di sequestro e confisca - diritto processuale penale europeo