Diritto di residenza per il cittadino dell’Unione che dispone di risorse sufficienti derivanti da attività lavorativa illegale
Nel caso di Bajratari, la Corte di Giustizia si pronuncia su un’interessante questione: cosa succede se un cittadino dell’Unione dispone di risorse sufficienti per vivere in un altro Stato Membro, come richiesto dall’art. 7 Direttiva 2004/38, ma queste risorse derivano da un lavoro illegale? È legittima la decisione dello Stato Membro che nega il suo diritto di residenza? La Corte, facendo ampio uso del principio di proporzionalità, ha dato rilievo alle circostanze individuali del caso, in particolare al fatto che dietro al ‘lavoratore illegale’ si celasse in verità un cuoco, padre di famiglia, colpevole di aver continuato a lavorare a permesso scaduto, versando tasse e contributi nelle casse dello stato ospitante. Ricorrendo a una stringente logica funzionalistica, la Corte ci mostra in questa sentenza come il diritto dell’Unione può fornire degli strumenti potenti per smascherare alcune pratiche nazionali che, apparentemente volte a tutelare le finanze statali o l’ordine pubblico, costituiscono in realtà una restrizione sproporzionata dei diritti dei cittadini europei e dei loro famigliari.
Postdoctoral Fellow, Collegio Carlo Alberto